Creare immagini con la scrittura
Creare immagini attraverso le parole.
Fare in modo che ciò che scriviamo riesca ad avere una “forma”, riesca a tradursi in una fotografia.
Riuscire a farlo non è semplice, ma è una delle chiavi (forse la più importante) per attirare (e mantenere) l’attenzione di chi legge.
Una combinazione adeguata di parole, infatti, genera “(...) un pensiero compiuto che nasce nella mente dello scrittore, per poi trasferirsi in quella del lettore” (come ritroviamo nel libro “On Writing” di Stephen King) e far corrispondere questo pensiero a un’immagine diventa vitale per chi lavora con la scrittura.
Nel volume “Talk like TED” di Carmine Gallo troviamo degli spunti pratici in questa direzione:
“Avoid overused buzzwords and clichés.
Marketers love to use words such as leading, solutions, and ecosystem. These words are empty, meaningless, and used so often they’ve lost whatever punch they may once have had.
Overused metaphors can also be boring. According to a study featured in The New York Times, “The way the brain handles metaphors has also received extensive study; some scientists have contended that figures of speech like ‘a rough day’ are so familiar that they are treated simply as words and no more”. Brain scans are revealing that when people hear a detailed description, ‘“an evocative metaphor or an emotional exchange between characters”, different areas of the brain are stimulated.
Just hearing “the smell of lavender” activates the part of the brain involved in smell. "When subjects in their laboratory read a metaphor involving texture, the sensory cortex, responsible for perceiving texture through touch, became active. Metaphors like ‘The singer had a velvet voice’ and ‘He had leathery hands’ roused the sensory cortex.”
When you tell a story, by all means use metaphors, analogies, and vivid language, but eliminate clichés, buzzwords, and jargon. Your audience will tune out phrases they’ve heard a million times.”
Per questo, chi utilizza le parole per raccontare, ad esempio, un brand, dovrebbe cercare di evitare parole come “Leader”, “Migliore”, “Unico”.
Sono termini così inflazionati, così frequenti nelle descrizioni aziendali, che vengono considerati solo come tali, senza generare immagini e senza quindi riuscire a catturare e mantenere l’attenzione necessaria.
Cercare di allenarsi a raccontare un progetto attraverso la modalità della “creazione di immagini” può aiutare a costruire narrazioni capaci di avere una maggiore presa sul pubblico di riferimento.
Ad esempio, se il nostro interlocutore ci comunica: “Siamo un’azienda leader”, proviamo a mettere sul piatto una serie di domande in grado di scavare dentro quell’affermazione, partendo da un semplice:
“Perché vi definite in questo modo?”
Per poi toccare i dettagli:
“Che numeri avete?”
“Qual è l’impatto in termini quantitativi e qualitativi del vostro prodotto/servizio?”
“Negli ultimi X mesi che progressi sono stati effettuati?, ecc.”
Pensiamo anche a quello che vediamo scritto negli store “Patagonia”.
Nessuna autocelebrazione per descrivere l’organizzazione, ma solo il focus sullo scopo dichiarato: “Siamo in business per salvare il nostro pianeta”.
E per abituarci a mettere in pratica sempre questo approccio, manteniamo la mente attiva nel ricercare stimoli con questa impronta, dovunque.
Un altro esempio molto, molto semplice, ma che rende l’idea.
“Help us save up for trip to Japan. Thank you.”
Questa era la scritta che ho letto su un foglietto appoggiato al lato di un bancone di un bar in un posto sperduto, in Islanda, gestito da una coppia.
I due giovani proprietari del locale avevano descritto il bicchiere dedicato alle mance con la condivisione di un loro desiderio di viaggio.
Hanno “mostrato” il loro obiettivo, facendo passare in secondo piano la parola “mancia”. Hanno saputo creare una vera e propria immagine nella mente dei loro clienti.